Professore, iniziamo con una domanda secca, se vogliamo banale: c’è la mafia in Liguria?
“La Liguria non è un’isola felice, questo è un mito da sfatare. Ci sono fenomeni simili a quelli che avvengono in altre Regioni, magari con intensità diversa…
Vi racconto un aneddoto. Nel 1995 stavo preparando un libro, Processo alla ‘ndrangheta. Chiamai un magistrato milanese per parlare con lui. Il pm di turno rivelò di aver studiato uno dei miei primi libri per comprendere il fenomeno, perché della ‘ndrangheta nessuno si era occupato prima di quel momento e nell’Università, tanto meno, era stato trattato l’argomento.
Quando proposi il primo corso sul tema, a Roma, scatenai l’incendio: tantissimi giovani vennero ad apprendere la materia.
Perché non si insegna storia delle mafie? C’è come una ripulsa. Non basta parlare di legalità…C’è differenza tra lo stop al semaforo rosso e un’associazione mafiosa! Occorre formare intere generazioni per sviluppare gli anticorpi utili a contrastare efficacemente il fenomeno. Si, in Liguria c’è la mafia. Ci sono le mafie, meglio. Ammetterlo è già una rivoluzione”.
Dunque c’è una lunga storia di indifferenza, sottovalutazione e luoghi comuni…
“Non sono affari che ci riguardano, sono affari dei calabresi, questo è sempre stato l’alibi principale. Eppure ci sono state inchieste che hanno coinvolto non solo esponenti tradizionali delle ‘ndrine, ma anche genovesi e liguri! Avete avuto un Presidente della Giunta regionale indagato per 416 bis, negli anni ‘80 (Alberto Teardo, n.d.r.)! Allora la politica si limitava a contrattare pacchetti di voti, ora gli ‘ndranghetisti sono in grado, purtroppo, di imporsi maggiormente.
Il rapporto con la politica è sempre stato molto importante. In un’intercettazione, un membro di spessore del locale di Genova si interroga se affiliare, o meno, un uomo politico, un consigliere comunale: si decise, alla fine, di battezzarlo, ma gli fu attribuito un grado basso. E’ abbastanza eccezionale come fatto, la ‘ndrangheta sfrutta da sempre la politica, ma tendenzialmente non si fida. Questi episodi implicano un mutamento. Una capacità straordinaria di adattamento ai contesti sempre nuovi che queste organizzazioni vanno infilitrando.
Bisogna pretendere di più dalle Istituzioni. Nel 2010, a pochi giorni dall’operazione Crimine-Infinito (300 arresti), il prefetto di Milano Lombardi disse che la ‘ndrangheta non esisteva. Era successo qualcosa di analogo a Genova, col Prefetto Cancellieri. Idem a Imperia, ai tempi del prefetto Di Menna.
Se ci dobbiamo basare sulle sentenze giudiziarie italiane, andiamo male. Per tanto tempo la mafia non esisteva per i Giudici, nemmeno al Sud! A Palermo o a Catanzaro, quanti PG l’hanno negato per anni, nei discorsi inaugurali degli anni giudiziari!”.
Perché le mafie sono giunte al Nord?
“Gli ‘ndranghetisti – così come i mafiosi e i camorristi – arrivarono per una pluralità di ragioni. Innanzitutto a causa del fenomeno migratorio che interessò l’Italia nel boom economico. Non vennero al Nord solo onesti lavoratori, ma purtroppo anche criminali.
La ghettizzazione dei meridionali nei casermoni in periferia favorì la ricostruzione di certi legami. L’urbanizzazione sregolata favorì indirettamente il fenomeno mafioso. Onesti lavoratori vennero costretti a vivere a stretto contatto coi mafiosi, anziché mescolarsi con le persone del Nord. Oggi succede la stessa cosa coi cinesi.
In secondo luogo, occorre menzionare il soggiorno obbligato, quella diabolica misura di prevenzione che contribuì alla diffusione delle mafie in territori inesplorati (pensiamo al caso molto attuale di Reggio Emilia: tutto è nato perché Antonio Dragone andò lì in soggiorno obbligato, vediamo oggi con che risultati!).
Infine, per ragioni squisitamente economiche, cioè di business. Pensarono di insediarsi al Nord per fare soldi (prima col contrabbando di sigarette, poi col traffico di droga, eroina all’inizio ed in seguito cocaina, la droga dei ricchi). La cocaina è l’emblema della società attuale capitalista: siamo spinti a primeggiare sempre sugli altri, ma con le nostre forze spesso non ce la facciamo. Per essere più bravi del prossimo, serve questa droga. Fa stare svegli, dà energia, fa sentire onnipotenti. Salvo poi magari ucciderti.
Diciamo la verità: i calabresi hanno fatto tanti errori, io da calabrese soffro moltissimo perché mi rendo che abbiamo esportato la parte peggiore della nostra terra. Ma la ‘ndrangheta al Nord è entrata come una lama nel burro. Di questo dobbiamo tutti sentirci responsabili. Perché i mafiosi non solo non sono stati espulsi, ma hanno penetrato la società e l’economia settentrionali con estrema facilità?
Una parte del Nord ha avuto convenienza: la mafia offre servizi che altri non possono dare. Ad esempio, per guadagnare di più, un imprenditore ha vantaggio a rivolgersi a un mafioso: egli può garantire forza lavoro meno costosa, accesso al credito, sbaragliamento della concorrenza ecc.. Pensiamo agli imprenditori che vincono col massimo ribasso d’asta: è facile, e conveniente, vendersi ai mafiosi per avere in cambio questi vantaggi.
O ancora, pensiamo ai negozianti strozzati dalla crisi: la banca non dà credito, gli usurai sì! La differenza è che gli usurai tradizionali non uccidevano mai, puntavano a recuperare tutto il danaro. Quelli mafiosi, invece, non si fanno tutti questi problemi: non paghi, bene, mi prendo io il bar, mi rilevo l’attività e bon. Anzi, tu rimani il proprietario formale, ma io divento quello sostanziale.
Bardonecchia è stato il primo comune del Nord sciolto per condizionamento mafioso (1995): sapete cosa accadde? Alcuni imprenditori vinsero gli appalti per Campo Smith, ma erano ingordi. Si rivolsero a un uomo della ‘ndrangheta e chiesero manodopera più disponibile, più malleabile, meno rompicoglioni. Arrivarono questi lavoratori, che presero la residenza poi! E iniziarono a votare… piano piano giunsero in tanti, iniziarono a controllare il voto.
Cambiamo Regione: in Lombardia, il Movimento Terra è monopolizzato dall’ndrangheta (si parla di “padroncini”). E’ il settore marcio delle cave. Ci sono interi comuni in mano a queste famiglie. Tra il 1992 e 1994, 2.000 persone sono state condannate per reati di tipo mafioso in Lombardia”.
E come è possibile tutto ciò? E’ colpa della cd. zona grigia?
“Io non la chiamo zona grigia, un concetto un po’ sfuggente. Preferisco parlare di uomini cerniera: liguri/piemontesi/lombardi che aprono la porta ai mafiosi. Pensiamo alla grande e drammatica stagione dei sequestri di persona: uomini della ‘ndrangheta del posto indicavano ai criminali del Sud i soggetti da sequestrare. Ma ciò era possibile solo perché qualche uomo cerniera indicava preventivamente chi aveva i soldi!
Secondo esempio: quando un mafioso vuole acquistar bar/ristorante ecc., qualcuno deve dichiarare di chi sono quei beni. O ancora, per sapere a chi offrire denaro fresco, c’è bisogno di qualcuno che riveli una certa sofferenza economico/bancaria, da parte di un commerciante!
Avvocati, bancari, finanzieri, notai, imprenditori hanno fatto affari con le mafie, ma al contempo hanno consentito loro di entrare nei “mercati che contano”.
Altro settore cardine è l’edilizia: geometri, architetti, ingegneri hanno favorito l’ingresso delle cosche, sono stati avvicinati (perché considerati preziosi) e non si sono scansati.
I mafiosi nei cantieri, del resto, sono comodi: offrono manodopera a basso costo, abituata a lavorare molto; impediscono ai sindacati di lamentarsi per la paga e gli orari; consentono di sbaragliare la concorrenza attraverso l’intimidazione, anche solo larvata. In certe aree, anche del Nord purtroppo, la mera pronuncia di un cognome (affiancato a quello di un’azienda) fa desistere altri operatori del mercato dal partecipare ad una gara d’appalto!”.
Cosa si può fare per colpire questi uomini-cerniera?
“La disistima sociale è la chiave di volta: purtroppo il mafioso-killer è stato da tempo condannato socialmente (e spesso anche giudizialmente). Non si può dire lo stesso dei fiancheggiatori perfettamente inseriti in società, che si presentano col volto pulito. Quante proprietà di liguri, lombardi ecc. sono passate in realtà nelle mani sporchi dei mafiosi? Spesso sono stati politici/imprenditori/professionisti che hanno chiesto alla ‘ndrangheta soldi o appoggio; loro hanno bussato, le cosche hanno risposto. Nemmeno viceversa! La chiave di volta è colpire questo genere di figure-cerniera. E’ del tutto inutile colpire l’ala militare e basta.
Vi faccio un esempio che sicuramente conoscete. Angelo Ravano, industriale del Nord, genovese, ebbe l’idea di rendere il porto di Gioia un grande scalo di container, fulcro di vasti scambi commerciali. Il Governo accettò la proposta: si fece il grande porto di Gioia. Ravano di giorno si accordava con lo Stato Italiano, di notte con i Piromalli, la famiglia più potente della Piana: per ogni container movimentato, 1€ e qualcosa finiva in tasca alle cosche (in realtà c’erano le lire allora, ma la proporzione è quella).
Quando Ravano muore, uno dei Piromalli va a Milano nella sede della Contship, la sua azienda, e pretende che si rispettino i patti! I mafiosi volevano che proseguisse, con gli eredi, questo splendido affare!
“Noi abbiamo il passato, il presente e il futuro”, dice un ‘ndranghetista in un’intercettazione…Ecco il senso di quelle parole tenebrose.
Chi conosce la vera storia di Ravano? Pochissimi. Anzi, voi mi dite che gli hanno pure dedicato un noto torneo di calcio…”
Qual è il ruolo della società civile, come si dice spesso, in questa battaglia? Che cosa possiamo fare noi, non addetti alla repressione?
“Innanzitutto c’è bisogno di più consapevolezza e più partecipazione nella cittadinanza. Si pensava che l’omertà fosse un concetto meridionale. In realtà abbiamo avuto la prova che l’omertà è ovunque: è il fenomeno mafioso, sono le condizioni materiali e storiche a generare omertà. Ieri a S. Luca, oggi nelle imprese del Nord.
Antonio Fameli, storico prestanome dei Piromalli di Gioia Tauro, è a Loano da 20 anni e ha avuto coperture da tutti. Lo possiamo accettare?
Spostiamoci in Lombardia: in un Comune dell’hinterland milanese, non ricordo ora se Corsico o Buccinasco, arriva una soffiata ad una famiglia di ‘ndrangheta. Sta per arrivare un’ispezione, occorre nascondere le “prove” dell’attività edilizia; di notte un centinaio di camion spostano letteralmente un cantiere da un posto in un altro. Un po’ di rumore lo avranno fatto, no? Eppure quella notte il telefono dei vigili restò muto. Nessuno denunciò quanto stava accadendo.
Non bisogna parlare di sub-cultura mafiosa, è rischioso: è piuttosto una cultura, diversa dalla nostra; riescono ad avere un’egemonia che non riusciamo ad avere noi. Producono una narrazione, un profilo, un discorso. Noi dobbiamo essere in grado di costruire un’identità alternativa.
C’è una tradizione fortissima nel crimine mafioso: è la leggenda dei figli di una Calabria reietta, trattata male dal Piemonte, dall’Italia. Ma non è vero! I giovani di Aspromonte sono disperati: abboccano. Non deve succedere lo stesso qui. Purtroppo la crisi economica, la disoccupazione dilagante, la prospettiva di facili ricchezze rendono queste organizzazioni appetibili anche al di fuori dei confini tradizionali. Ma voglio farvi anche un esempio molto concreto. Vi sarà capitato di vedere, anche nella vostra città, negozi sempre aperti, ma non visitati: come fanno a non chiudere? Un negozio normale se non vende abbassa la serranda in due/tre mesi. Quelli non sono negozi, sono lavanderie. Alla fine della settimana dichiarano di aver venduto un tot, anche se non è vero. Poi ci pagano pure le tasse, ma intanto così possono attestare di aver guadagnato dei soldi (in realtà riciclano e basta). E attenzione ai centri commerciali, agli ipermercati…Spesso ci sono logiche simili dietro. Dobbiamo essere in grado di cogliere queste dinamiche. E denunciarle“.
Dal punto di vista normativo, ritiene soddisfacenti gli strumenti di cui è dotata la magistratura? Il 416-bis è una norma ancora attuale?
“Non fatevi questa domanda. Se tocchiamo il Il 416-bis, crolla tutto. Quella fu una straordinaria intuizione, Pio La Torre non era uno scemo!
Noi dobbiamo sforzarci, unicamente, di calare quella norma nel contesto attuale. Il condizionamento mafioso è senz’altro, nuovo, diverso rispetto al passato: dobbiamo averne consapevolezza. Ma non bisogna aspettare i kalashnikov! La norma non richiede la commissione di delitti, quella è una delle possibili finalità! Ma un’organizzazione mafiosa può benissimo occuparsi anche solo di affari leciti. E’ il modo in cui lo fa, che non va bene. Attraverso l’intimidazione, anche solo abbozzata, frutto di una fama criminale risalente.
Vi richiamo anche su un altro punto: spesso di dice “al Nord non c’è il controllo del territorio!”. Ma attenzione: il controllo del territorio non è postulato dalla norma! Vi sfido a trovarlo nel 416-bis! E comunque, ci sono zone (nell’imperiese, nel torinese, nel milanese) che sono del tutto soggette alla cappa mafiosa…
Per il resto, si sta rivedendo la materia dei beni confiscati (ed è un bene, perché su quello siamo molto indietro, poco efficienti…); la novella sul 416-ter (scambio-elettorale politico mafioso) è stata fondamentale. Ma sarebbe bastato inserire due parole nel vecchio testo: “altre utilità”, dopo denaro. Stravolgendo la norma si è rischiato di renderla più favorevole, più difficile da applicare.
Il lato repressivo è comunque solo l’ultimo fronte: una mare di persone è stata processata e sbattuta in galera per la vita nel corso degli anni. Ma purtroppo il fenomeno permane: il carcere e le condanne non risolvono il problema”.
Qual è la chiave di volta?
Per tanto tempo gli italiani hanno fatto il tifo, senza scendere in campo.
Pur consapevole di tutti i casini che ha l’antimafia, per fortuna la situazione è cambiata. Quello che ha fatto Libera, insieme a tante altre associazioni, è grandioso. Idem dicasi per Avviso Pubblico, un’organizzazione inimmaginabile pochi anni fa. Chi parla di “Mafia dell’Antimafia” ricorre all’eccesso, all’iperbole sensazionalistica; scoraggia e basta. Pensiamo ai magistrati infedeli: ci sono, sono anche diversi, ma mica possiamo sciogliere la magistratura! Dunque continuiamo a fare Antimafia, purché sia di qualità e non di facciata.
C’è però anche qualcos’altro. Perché solo nel 1992-1993 lo Stato fece davvero la guerra alla mafia? L’Italia ha sempre e solo reagito, ma non ha mai sparato il primo colpo. Quando la pressione popolare si è combinata con un felice momento nelle Istituzioni si è riusciti a fare la differenza. La storia delle collusioni e la storia delle stragi va a braccetto. Quante volte la nostra classe dirigente non è stata all’altezza…
Vi lascio con un ultimo tassello, una riflessione: attenzione al salto di qualità. Negli ultimi anni abbiamo visto che la ‘ndrangheta, soprattutto, è riuscita ad agganciare stabilmente la politica: ciò significa fare il passo successivo! Implica la volontà di radicarsi stabilmente e, quindi, di comandare, per poi fare ancora più soldi. Questo succede un po’ dappertutto al Nord, ed è preoccupante.
In altre parole: finché le cosche giungono in Liguria o in Lombardia per riciclare del denaro, possiamo parlare di infiltrazione; è già un fenomeno grave, ma può essere circoscritto. Quando assistiamo (come puntualmente è successo) ad intere schiere di politici che cercano il sostegno di queste famiglie (complice la crisi dei partiti e dei bacini tradizionali), deve scattare il campanello d’allarme: si è passati dall’infiltrazione al radicamento. In alcuni casi alla vera e propria colonizzazione”.