Quanto segue è il resoconto di un incontro informale tra il Presidio di Libera – Genova ed il pm Alberto Lari, avvenuto dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado del processo Maglio 3.
Introduzione
Il primo aspetto caratteristico di Maglio 3 risiede nel fatto che l’indagine è nata come segmento della più ampia indagine di Reggio Calabria, Il Crimine (2010). L’inizio perciò è stato più semplice dal momento che era già stato raccolto consistente materiale probatorio. La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria aveva accertato incontri tra Gangemi ed altri soggetti delle ‘ndrine calabresi.
In agosto era stato registrato un colloquio in un agrumeto tra Gangemi e Oppedisano, il numero uno della ‘ndrangheta (da poco condannato a 10 anni per 416 bis); i due parlavano della ‘ndrangheta in Liguria in modo generico: “Pare che la Liguria è ‘ndranghetista, quello che c’era lì lo abbiamo portato lì” . Gli inquirenti partono così dal presupposto che, se Gangemi colloquia col superboss della ‘ndrangheta, dovrà essere certamente un pezzo grosso almeno della Liguria.
Il lavoro della D.D.A. genovese è iniziato con la collocazione di un’ambientale nel suo negozio di frutta e verdura di Piazza Giusti, nel quartiere di S. Fruttuoso. Si registrano colloqui di strategie e questioni da risolvere e viene notato un curioso via-vai di politici e uomini di origine calabrese. Non ci sono però fatti spiccioli concreti, come singole estorsioni.
Trovare i reati fine è difficile indagando i vertici dell’organizzazione (a meno che un manovale vada a riferire ad un capo di aver compiuto, per esempio, una singola usura). E’ fisiologico, invece, che i capi del sodalziio discutano di questioni organizzative.
Si accertano riunioni di ‘ndrangheta: nel basso Piemonte è necessario aprire un nuovo locale, i genovesi vengono invitati a ratificare tale fondazione e si recano a Bosco Marengo. Ci si trova così di fronte all’assegnazione di ”doti” (cariche). In un’altra occasione, tornando da Lavagna, affermano persino “’na bella ‘ndranghetella te la sei fatta dai…’na scialata con il tuo compare”.
La durata delle indagini: la fuga di notizie
Colpisce la breve durata delle indagini preliminari di Maglio 3: solo sei mesi, un’inezia per un processo di mafia. La ragione di tale anomalia è che c’è stata una fuga di notizie.
Nel 2010 viene registrata un’ambientale a Bosco Marengo che termina con la frase “Ok, ci vediamo il mese prossimo”; l’informativa del Ros contenente la trascrizione di questi nastri viene rinvenuta nei pressi della Procura di Genova da un cronista del Secolo XIX, che pubblica un articolo nel quale fa nomi e cognomi degli indagati. Il pm Alberto Lari dispose pertanto una perquisizione nella sede del giornale; fu sequestrata l’informativa dei carabinieri nel cassetto. Essa, curiosamente, era fotocopiata una pagina sì e una no.
Il giornalista viene indagato, il capo d’imputazione risulta però risibile: “pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”, una contravvenzione punita con l’arresto sino a 30 giorni e la multa sino a 258 € (art 684 c.p.). Non si parla di rivelazione di segreti di ufficio (art 326 c.p.) poiché non risulta che nessun pubblico ufficiale abbia fornito tale informativa al giornalista; infatti pare che egli l’abbia trovata autonomamente in una fotocopiatrice dove era stata per sbaglio abbandonata, fatto che spiega la stranezza delle pagine fotocopiate in modo alternato.
Comunque sia, l’Indagine da quel momento è distrutta. In altre intercettazioni si sentono gli ‘ndranghetisti cercare la microspia. Dopo un mese si registra un altro colloquio interessante nella casa piemontese, ma gli ‘ndranghetisti si fanno più furbi e scrupolosi sapendo di essere intercettati. Inoltre, nel luglio 2010 viene arrestato Gangemi, la principale fonte di notizie. L’indagine è così terminata.
Mafia e politica
Tra le intercettazioni raccolte, emergono come interesse principale le elezioni regionali: “facciamo eleggere Tizio, ci ha garantito. Quello ha sempre mantenuto le promesse”. Vengono messe ambientali anche in Regione, ma non si ottiene nulla di particolarmente significativo. Se l’indagine fosse proseguita senza fughe di notizie si sarebbe potuto arrivare, forse, anche ai politici. Per la Gip Carpanini, tuttavia, si trattava unicamente di “chieder voti alla comunità calabrese”; ma ci si domanda come un fruttivendolo di quartiere possa avere un pacchetto da mille voti! I favori sono a suo avviso contenuti, per la Gip Carpanini, nell’ottica del “così va il mondo”: non c’è nulla di mafioso bensì la diffusa pratica della raccomandazione tra amici.
Sono registrati anche i favori promessi dai politici (“trova un posto di lavoro a mio figlia”; “Ma certo, sai che sono uno dei vostri”) ed addirittura l’intervento di un politico nel negozio di Gangemi per risolvere in problema di una multa inflitta dalla Guardia di Finanza.
Ci sono tutti gli estremi per il voto di scambio, che non viene contestato dalla Procura per concentrare l’attenzione sul reato associativo e per dare corsia preferenziale ai dieci imputati (detenuti) calabresi, evitando le lungaggini derivanti dalla presenza di politici.
Il lavoro dell’accusa
L’indagine si fonda, vizio e virtù, quasi esclusivamente sulle intercettazioni telefoniche, non poco pregnanti. Come detto mancano i reati-fine, che avrebbero meglio delineato l’attività criminale in Liguria. Le indagini patrimoniali inoltre hanno dato risultato negativo: gli imputati sono quasi tutti piccoli imprenditori edili, formalmente puliti, anche se alcuni di essi vantano un ricco casellario giudiziario .
La fondatezza delle accuse è stata comunque dimostrata, incidenter tantum, dalla Corte di Cassazione nell’ambito dei ricorsi cautelari proposti dalle difese degli imputati, che avevano perso anche al Tribunale del Riesame. La Suprema Corte aveva ipotizzato la sussistenza di un sodalizio di tipo mafioso; infatti erano presenti il vincolo associativo, le stesse regole, gli stessi ruoli e la stessa organizzazione verticistica.
La caratteristica della ‘ndrangheta in Liguria è il basso profilo: gestisce i propri affari, copre i latitanti, si procura amministrazioni amiche. La capacità di intimidazione si desume dalla radice! Qualora servissero killers per compiere un singolo fatto cruento, probabilmente i malavitosi locali si servirebbero di qualche compare proveniente dalla Calabria.
La DDA a sostegno delle proprie tesi produce anche gli atti di un procedimento separato che ha coinvolto uno degli imputati di Maglio 3: Onofrio Garcea. Questi è stato condannato per usura aggravata dalla componente mafiosa. Tuttavia per la dott.ssa Carpanini tale fatto non rileva, perché il profitto derivante dal reato non veniva spartito tra i consociati. Si potrebbe rilevare come la suddivisione dei proventi non può avvenire tra tutti gli ‘ndranghetisti, ma al contrario gran parte del profitto del singolo reato rimane tradizionalmente all’autore.
Infine la Procura ha allegato i faldoni di Reggio Calabria, una mole di lavoro immane che presumibilmente (e comprensibilmente occorre dirlo) non sono stati presi in particolare considerazione.
Un altro elemento importante della vicenda è rappresentato dal fatto che, nel momento in cui si è proceduto all’arresto simultaneo di dodici soggetti a Genova e venti in Piemonte, il Gip aveva convalidato un anno di custodia cautelare per i detenuti liguri, tempo sufficiente per concludere le indagini su Ventimiglia e Bordighera per poi riunire i fascicoli. Erano quindi in arrivo “carte esplosive” e la difesa, avendolo compreso, chiese il rito abbreviato per evitare il dibattimento e andare a giudizio allo stato degli atti (cioè le sole carte su Genova).
L’inchiesta sul ponente ligure peraltro era ricca di reati-fine. Infatti dalle intercettazioni si viene a conoscenza di un episodio particolarmente grave. Un’estate il figlio di un boss di Ventimiglia si reca in Calabria: si vuole “dare una lezione” ad un ragazzo calabrese. Questo però, vistosi accerchiato, tira fuori la pistola e uccide un altro soggetto. Il ragazzo di Ventimiglia torna a casa e l’omicida, nel contempo, inizia la fuga, intenzionato a raggiungere la Francia. Gli ‘ndranghetisti calabresi si recano a Ventimiglia per trovare l’assassino e ucciderlo, e si rivolgono agli amici liguri.
I “compaesani” nostrani dicono loro: “ma cosa venite su voi! Ci pensiamo noi! Tornate giù, è roba nostra”. Il commando calabrese fa così ritorno in Calabria e uccide un parente dell’assassino. Quest’ultimo non sarà ritrovato dai liguri, ma la vicenda non lascia spazio a libere interpretazioni.
Una delle osservazioni fatte dalla Carpanini è la mancanza della prova del legame tra cosche calabresi e liguri: se fossero arrivate le carte di Ventimiglia il vincolo sarebbe risultato evidente.
Le intercettazioni travisate
Infine, l’accusa si è arenata sulle pittoresche trascrizioni delle intercettazioni operate dal perito nominato dal Tribunale. Egli omette incredibilmente numerose espressioni tecniche, sintomatiche del mondo ‘ndranghetista, che invece erano presenti nell’informativa del Ros. In un’ambientale si sente con chiarezza la locuzione camera di controllo: tuttavia né il perito né il giudice sembrano accorgersene. La parola dote (carica) viene scambiato per “una volta”. Il termine locale scompare. L’ambasciata (altra espressione tipicamente ‘ndranghetista) viene riportata come “comunicazione”.